lunedì 21 dicembre 2009

"Non abbiate Fretta: la Pazienza è tutto"

Il Gelo ci invita alla Pazienza. Senza troppe grida, mi sembra evidente. Se ne arriva silenzioso, col suo passo fermo, cadenzato. Se ne arriva col suo sacco di tela, dove una volta –forse- vi aveva trasportato delle patate, delle cipolle, o del terriccio. Ha l’aria di un vecchio saggio, di uno che la sa lunga sull’inverno, sui suoi malanni e sulle sue cure miracolose. Passa casa per casa, tenacemente lottando contro vecchi trattori che spalano neve e spargono sale. Soffia sui marciapiedi, sugli scalini, sui cestini, sulle auto, sugli addobbi. E –su tutti- stende una sottile patina di vitreo ghiaccio. Non è una cattiveria la sua. Certo, potremmo pensarlo, noi uomini. Potremmo persino imprecare contro di Lui e inveire, e sbuffare, e persino bestemmiare. Lui, con la sua pacatezza, certamente non ce lo vieterebbe. Preferisce starsene zitto nel suo silenzio, proseguendo in quel suo meticoloso lavoro di evangelizzatore dell’Inverno. E incassare gli insulti di tutti.

Ad ogni porta, in ogni vicolo, per ogni piazza lascia una piccola bottiglia. Di vetro. O meglio: pare vetro ma non è così solido. Non è neanche cristallo: si frantumerebbe. E’ di un materiale talmente strano che ai più viene già la paura di aprirla -figurarsi srotolare il biglietto in essa congelato-. Solo qualche uomo (adulto, sulla cinquantina) ha la curiosità di frugare nella cassetta delle lettere. Non teme una minaccia, o una nuova scoperta, o il nostalgico ricordo di un passato ormai passato. E’ curioso. E’ aperto, aperto alla Poesia.

Porta in casa quel piccolo messaggio donatogli dal bianco uomo saggio. Lo accosta alla stufa rovente, dove accanto riposa beatamente un cucciolo angelico. E piano piano, col calore, con la cura e la sua attenzione, la bottiglia si scioglie. Come Ghiaccio al Sole, per l’appunto. Strano gioco della Natura: il cuore si scioglie di fronte al gelo dell’inverno. Si balocca.

Intanto egli mette su un po’ d’acqua a scaldare: una buona camomilla in questa mattina di dicembre non guasta. Nell’attesa egli si perde alla finestra, gettando l’occhio in quel punto poco prima e poco dopo l’orizzonte. Noi uomini chiamiamo questo gesto “incantarsi”. Come al solito siamo imprecisi, arruffoni direi. Non è uno stupore, né tantomeno una contemplazione. E’ un rovesciarsi dentro di sé, per arrivare a toccare qualcosa che ci è sembrato di intravedere –paradossalmente- a migliaia di chilometri. Ma inconsciamente ci rendiamo conto che tutto ciò è dentro di noi. E allo stesso tempo lontano da noi. O meglio: è laggiù, ed è quaggiù. E quella vista è il punto di contatto fra noi e ciò che è fuori di noi. Fra l’Io e il Mondo, per essere formali.

Quest’uomo, con i suoi capelli sempre più radi e sempre più grigi, non comprende tutto questo razzolare di sensazioni. Le sente. Le sente, e basta. Forse domani se ne renderà conto, chissà. Intanto l’acqua bolle, lo distrae col suo borbottio, riportandolo sulla dimensione consueta. Appoggia l’infuso sulla superficie dell’acqua calda, ascoltando pacatamente il suono dell’acqua che entra nei fiori profumati. In un attimo si ricorda della sua bottiglia, sempre poggiata sopra la stufa, per toglierle di dosso quella ragnatela di cristalli. La bottiglia però è sparita. Scomparsa, nel nulla. Sciolta, dissolta. Adesso, resta solo quel bigliettino di carta pesante che al calore della pietra lentamente si increspa. L’uomo, sempre più curioso e contento per la sorpresa mattutina, lo prende in mano. Lo apre. Lo srotola. Tutto con molta calma, è chiaro. La calligrafia con cui il pugno aveva solcato la carta è veloce, di chi ne aveva scritti tanti di questi foglietti. E’ tranquilla però: non frettolosa, non affannata. Tranquilla, posata. “Saggia” gli viene da pensare. La calligrafia di una vecchia figura, di quelle attente alla forma estetica. Di quelle attente Anche alla forma estetica.

Guardate la Pazienza con cui un Fiocco di Neve scende ad imbiancarvi. Non abbiate Fretta: la Pazienza è tutto. Buon Inverno”. Sono queste le parole custodite da quel timido bigliettino arrivato da chissà dove. Quest’uomo, così come tanti altri probabilmente, non aveva mai udito –o letto- queste parole. O forse le aveva colte ogni inverno della sua infanzia, ogni giorno in cui la Vita si fermava, congelata sotto il candore del cielo. In ogni caso le aveva dimenticate, da tempo. Un sorriso era apparso sul suo volto. Un sorriso che abbracciava i ricordi, le memorie, le tristezze di un’epoca passata che -in un secondo- si era riaffacciata innanzi a lui. Un momento. Quel tanto che bastava ad aiutarlo a riappropriarsi del profumo di quei giorni, di quella neve, di quell’inverno così rigido ma così meravigliosamente sorprendente. Si riavvicina alla finestra, con passo leggero. Si affaccia, osservando le auto che scivolano, gli uomini che imprecano, le signore che si lamentano. Solo i bimbi giocano, senza ripararsi. Il volto al cielo in segno di ringraziamento, le mani impastate nel gelo. Sorride l’uomo, di nuovo. Questa volta con un po’ di amarezza. Quando in lontananza si accorge di un vecchio, che porta a porta, distribuisce qualcosa per le case. Non è Babbo Natale, benché la barba lo possa rendere simile. In un attimo si incanta di nuovo, -o meglio- si rovescia nuovamente in sé, intuendo la sapienza di quell’uomo. Poi, con un cenno lo ringrazia, indossa il cappotto ed esce nel gelo, per gettare lo sguardo al cielo con occhi diversi.