mercoledì 6 gennaio 2010

La bottega del Pulitore di Vasi

Arte complicata quella di pulire i Vasi Preziosi. Esige attenzione alla fragilità, cura dei dettagli, pazienza nell’applicazione. Non è un mestiere per uomini agitati, tantomeno per sbadati cialtroni. Astenersi i frettolosi, i violenti, i rabbiosi, gli irascibili. Solo chi ha molto tempo e una bella dose di Prospettiva è invitato all’apprendimento.

In quella antica bottega non c’è nessun maestro. Solo un Vaso che ti aspetta. Uno e un solo Vaso fragile, magicamente prezioso. Rivestito da una spessa patina di polvere opaca. Varchi il portone antico e, avvolto dall’acre odore di polvere e muffa, lo intravedi già sul tuo bancone. Di fianco lo straccio morbido su cui studiare l’arte. Sotto, un cestino: lì vanno lasciati riposare i cocci. I cocci rotti.

Non c’è nessun orologio in quella bottega. Nessuna luce artificiale. Solo qualche finestrone esposto a sud, anch’esso polveroso. Il silenzio regna in tutta la sala. Ogni operaio lavora concentrato sul suo piccolo Vaso di creta.

Mani alienate dal ripetitivo lentissimo movimento si bloccano solo al sordo frastuono di superfici che s’incrinano. Ognuno –in cuor suo- increspa amaramente la bocca al secco ticchettio di un patrimonio perduto. Una sorta di preghiera comunitaria da nessuno recitata. Un abbraccio ad un sogno infranto. Un secondo, un attimo soltanto. Poi il lavoro ricomincia, tale e quale. Ognuno per la sua strada.

Nessuno ha un contratto, un periodo preciso, un termine del lavoro. Non ci vuole fretta, l’ho già detto. Si può restarvi chiusi per giorni, per mesi, per anni. Persino tutta la vita, se si è abbastanza ostinati e pazienti. C’è anche chi innalza la lucentezza del proprio Vaso a motivo d’esistenza. Gente che ha perso la testa, che ha salutato tutto e tutti, chiudendosi in quell’antica stanza e vivendo di pane e acqua. E un piccolo riposino notturno aggomitolato su una balla di paglia accanto al proprio banco. Una vita meschina, per il mondo. Una vita d’amore per quel suo Vaso, per lui. Punti di vista –come al solito-.

Ho visto uscire da quel misterioso luogo uomini grigi, ripiegati in sé. Uomini affranti, delusi, feriti. Uomini che stavano male: qualcuno aveva perso in un attimo il puntuale lavoro di anni. Chissà cosa si senta quando centimetri lucidati da ore di meticoloso lavoro vanno in frantumi. Tic. E tutto crolla su sé stesso, mescolandosi a quei pezzetti ancora pregni di polvere, sporchi. Dev’essere difficile accettare di aver fallito senza giudicarsi sbagliati neanche un po’. Ti viene da domandarti se non sei stato troppo irruento, troppo frettoloso, poco dolce, poco tenero. Qualcosa devi pur aver sbagliato. Un passo falso c’è stato.

O forse quel Vaso –talmente prezioso da raccogliere in sé un’anima- non voleva farsi accarezzare. Forse era già incrinato, già intaccato. E l’occhio disattento non ha avuto abbastanza dolcezza in quel preciso punto, devastando tutto il resto. Che peccato.

Vorrei un giorno imparare quella magica Arte e non esserne più mero spettatore. Vorrei conoscere quel Vecchio che accoglie speranzosi giovani nella sua bottega. Chissà se è simpatico oppure il solito rompicoglioni maledettamente saggio. E magari chiedergli un piccolo prezioso Vaso da lucidare, e pulire, e far risplendere. Forse mi accoglierà, o forse mi butterà fuori a calci nel sedere, inveendo contro la mia sgraziata mano tremolante. Non saprei.

Certo è che –da questa panchina nel giardino di fronte alla bottega- non imparerò mai quell’antica sapienza. C’è da entrare, e lavorare, rischiando l’equilibrio su quel sottile filo fra delusione e felicità.