domenica 2 maggio 2010

Quei maledetti Cinque Minuti

Arriva un momento in cui tutto si fa lucido, chiaro. Nella testa, tutto lì dentro. Vedi la scena, l’obiettivo, dove devi e vuoi arrivare. Non è troppo piacevole, sia chiaro: c’è qualcosa sullo stomaco che si annoda, un viluppo che pesa e svuota. C’è Paura di quella Consapevolezza nitida che tanto incoraggia ma che –sotto sotto- annienta la cognizione di causa del tutto.

Fatto sta che quell’improvvisa chiarezza ti infonde tanta determinazione. Sei deciso, quasi duro, secco. Sai di doverti imporre e lo vuoi, ne sei convinto. Hai una carica addosso talmente effervescente da farti fremere le vene. Vorresti andare e spaccare. Velocemente. E non per volontà di decisione chiara e distinta, ma –forse- più per paura di perdere tutta quella carica. Perché forse quella carica non è poi così decisa. Lo senti che qualcosa non è così definito, chiaro. Soffochi però questa timida voce come un fastidioso ribelle anarchico. Un sovversore dell’ordine costituito. Lo odi e lo pesti a sangue. Ti chiedi chissà perché ci sia sempre una voce che sconquassa la perfetta stabilità di un sistema di idee. Ma –inevitabile maledizione della Vita- arriva un giorno in cui fogli perfettamente conservati vengono sgualciti da una rabbiosa chiusura di pugno. Ma –in ogni caso- il ribelle viene epurato. Radiato, esiliato là dove non può incrinare alcuna decisione. O forse l’ha già fatto. E così ti avvicini a ciò che devi fare. Non è difficile: bastano solo cinque minuti. Cinque maledetti minuti. Il semplice e lineare tempo necessario a introdurre il discorso, argomentarlo e concludere con una bella decisione. Secco e determinato.

E invece no. Troppo semplice.

La preparazione è perfetta: nulla da eccepire. Le motivazioni, pure. Così come la grinta. Tutto stramaledettamente preparato nei minimi dettagli. L’unica cosa che non avevi previsto –e che non avresti mai potuto prevedere- è Lei. Lei che arriva, venendo a salutarti. Due bacini, un “come stai” di situazione. Lei che si siede e ti guarda e ancora ti chiede qualcosa. Ma tu sei già a pensare allo schema, alla scaletta, a Dove vuoi arrivare. Non la ascolti. Non c’è verso.

Poi cominci a discorrere, cercando l’occasione per attaccare la fascia e crossare nel mezzo la propria determinata presa di posizione. Ed ecco la Tragedia. L’inevitabile fatalità che disintegra ogni possibile sicurezza.

Lei ti guarda, mentre parli. Lei ti guarda e Ti Sorride.

Eccola lì la Tragedia. Tutto si sfalda, evapora: puff! E te ne stai immobile a guardare la scena preparata che letteralmente se ne vola via. Te –ormai- sei di nuovo in quel patologico flusso di legami e attrazioni in cui puoi solo continuare ad annaspare.

Non è colpa Sua, non lo fa apposta. Sia mai! Non c’è nessun progetto maligno. Lei E’ così, non costruisce niente. E’ il normale scorrere di Vita che si compie. Ha una potenza che va al di là delle capacità maschili di gestione della situazione.

Tu non puoi far altro che subirla, accettarla con le labbra che si increspano. Con un sorriso che lì vi spunta. E –intanto- la conversazione procede, tutto rientra nelle guide. Tutto va avanti. Pare nel migliore dei modi. Pare.