lunedì 21 dicembre 2009

"Non abbiate Fretta: la Pazienza è tutto"

Il Gelo ci invita alla Pazienza. Senza troppe grida, mi sembra evidente. Se ne arriva silenzioso, col suo passo fermo, cadenzato. Se ne arriva col suo sacco di tela, dove una volta –forse- vi aveva trasportato delle patate, delle cipolle, o del terriccio. Ha l’aria di un vecchio saggio, di uno che la sa lunga sull’inverno, sui suoi malanni e sulle sue cure miracolose. Passa casa per casa, tenacemente lottando contro vecchi trattori che spalano neve e spargono sale. Soffia sui marciapiedi, sugli scalini, sui cestini, sulle auto, sugli addobbi. E –su tutti- stende una sottile patina di vitreo ghiaccio. Non è una cattiveria la sua. Certo, potremmo pensarlo, noi uomini. Potremmo persino imprecare contro di Lui e inveire, e sbuffare, e persino bestemmiare. Lui, con la sua pacatezza, certamente non ce lo vieterebbe. Preferisce starsene zitto nel suo silenzio, proseguendo in quel suo meticoloso lavoro di evangelizzatore dell’Inverno. E incassare gli insulti di tutti.

Ad ogni porta, in ogni vicolo, per ogni piazza lascia una piccola bottiglia. Di vetro. O meglio: pare vetro ma non è così solido. Non è neanche cristallo: si frantumerebbe. E’ di un materiale talmente strano che ai più viene già la paura di aprirla -figurarsi srotolare il biglietto in essa congelato-. Solo qualche uomo (adulto, sulla cinquantina) ha la curiosità di frugare nella cassetta delle lettere. Non teme una minaccia, o una nuova scoperta, o il nostalgico ricordo di un passato ormai passato. E’ curioso. E’ aperto, aperto alla Poesia.

Porta in casa quel piccolo messaggio donatogli dal bianco uomo saggio. Lo accosta alla stufa rovente, dove accanto riposa beatamente un cucciolo angelico. E piano piano, col calore, con la cura e la sua attenzione, la bottiglia si scioglie. Come Ghiaccio al Sole, per l’appunto. Strano gioco della Natura: il cuore si scioglie di fronte al gelo dell’inverno. Si balocca.

Intanto egli mette su un po’ d’acqua a scaldare: una buona camomilla in questa mattina di dicembre non guasta. Nell’attesa egli si perde alla finestra, gettando l’occhio in quel punto poco prima e poco dopo l’orizzonte. Noi uomini chiamiamo questo gesto “incantarsi”. Come al solito siamo imprecisi, arruffoni direi. Non è uno stupore, né tantomeno una contemplazione. E’ un rovesciarsi dentro di sé, per arrivare a toccare qualcosa che ci è sembrato di intravedere –paradossalmente- a migliaia di chilometri. Ma inconsciamente ci rendiamo conto che tutto ciò è dentro di noi. E allo stesso tempo lontano da noi. O meglio: è laggiù, ed è quaggiù. E quella vista è il punto di contatto fra noi e ciò che è fuori di noi. Fra l’Io e il Mondo, per essere formali.

Quest’uomo, con i suoi capelli sempre più radi e sempre più grigi, non comprende tutto questo razzolare di sensazioni. Le sente. Le sente, e basta. Forse domani se ne renderà conto, chissà. Intanto l’acqua bolle, lo distrae col suo borbottio, riportandolo sulla dimensione consueta. Appoggia l’infuso sulla superficie dell’acqua calda, ascoltando pacatamente il suono dell’acqua che entra nei fiori profumati. In un attimo si ricorda della sua bottiglia, sempre poggiata sopra la stufa, per toglierle di dosso quella ragnatela di cristalli. La bottiglia però è sparita. Scomparsa, nel nulla. Sciolta, dissolta. Adesso, resta solo quel bigliettino di carta pesante che al calore della pietra lentamente si increspa. L’uomo, sempre più curioso e contento per la sorpresa mattutina, lo prende in mano. Lo apre. Lo srotola. Tutto con molta calma, è chiaro. La calligrafia con cui il pugno aveva solcato la carta è veloce, di chi ne aveva scritti tanti di questi foglietti. E’ tranquilla però: non frettolosa, non affannata. Tranquilla, posata. “Saggia” gli viene da pensare. La calligrafia di una vecchia figura, di quelle attente alla forma estetica. Di quelle attente Anche alla forma estetica.

Guardate la Pazienza con cui un Fiocco di Neve scende ad imbiancarvi. Non abbiate Fretta: la Pazienza è tutto. Buon Inverno”. Sono queste le parole custodite da quel timido bigliettino arrivato da chissà dove. Quest’uomo, così come tanti altri probabilmente, non aveva mai udito –o letto- queste parole. O forse le aveva colte ogni inverno della sua infanzia, ogni giorno in cui la Vita si fermava, congelata sotto il candore del cielo. In ogni caso le aveva dimenticate, da tempo. Un sorriso era apparso sul suo volto. Un sorriso che abbracciava i ricordi, le memorie, le tristezze di un’epoca passata che -in un secondo- si era riaffacciata innanzi a lui. Un momento. Quel tanto che bastava ad aiutarlo a riappropriarsi del profumo di quei giorni, di quella neve, di quell’inverno così rigido ma così meravigliosamente sorprendente. Si riavvicina alla finestra, con passo leggero. Si affaccia, osservando le auto che scivolano, gli uomini che imprecano, le signore che si lamentano. Solo i bimbi giocano, senza ripararsi. Il volto al cielo in segno di ringraziamento, le mani impastate nel gelo. Sorride l’uomo, di nuovo. Questa volta con un po’ di amarezza. Quando in lontananza si accorge di un vecchio, che porta a porta, distribuisce qualcosa per le case. Non è Babbo Natale, benché la barba lo possa rendere simile. In un attimo si incanta di nuovo, -o meglio- si rovescia nuovamente in sé, intuendo la sapienza di quell’uomo. Poi, con un cenno lo ringrazia, indossa il cappotto ed esce nel gelo, per gettare lo sguardo al cielo con occhi diversi.

giovedì 12 novembre 2009

Meschini o Disperati?!

Disperati. Piccoli Meschini Disperati. Noi.
Noi che usiamo la penna. Noi che svuotiamo decine di litri d’inchiostro su pagine innocenti. Pagine che non hanno fatto niente per meritarsi tutto questo rovesciamento di rabbia mista a sconforto.
Noi che cerchiamo di capire qualcosa di questa strana vita e –nel frattempo- vomitiamo addosso al mondo sproloqui privi di senso. Siamo dei Disperati, diciamocelo in faccia.
Non capiamo nulla di quello che sotto sotto succede. Dovremmo forse non provare neanche a guardare sotto la coperta. Dovremmo farci meno domande e procedere sul sentiero. Ordine e disciplina: in culo le obiezioni.
Invece No. Siamo Disperati a tal punto da cercare con spasmodica bramosia qualche stramaledetta Chiave di Volta. Una pietra che non si trova o che –forse- proprio non c’è. E intanto consumiamo ore a noi concesse nel frugare fra carte ingiallite, fra fogli volanti, fra appunti strappati.
Ma a noi non piace essere dei Disperati. Ci vediamo brutti e la gente poi ci guarda male. Noi vogliamo essere Normali, come tutti gli altri, come buona parte del mondo. –Ci sarà pure un Rimedio!- alla volte ci convinciamo. E così, nel disperato tentativo di Ordinare, sistemiamo il mondo, a parole nostre. Con quelle Parole che tanto amiamo e che tanto ci consolano quando qualcosa non va, quando il sole non è più qua.
In realtà –meschini- non ci rendiamo conto che è solo un futile banalizzare, un bieco piegare la Realtà a quello che è il nostro immediato Bisogno. Ordine, puro e assoluto Ordine. Sarebbe troppo semplice. Non si prende in giro il Caos. Quel nostro magniloquente “leggere il mondo” è solo una spregevole Creazione di un mondo a-nostra-immagine-e-somiglianza. La Vita non è così ordinata. Ma –a noi Disperati- così piacerebbe.
Raccontiamo di sentimenti, di amori, di gioie e dolori. Ma quel che scriviamo non è che una briciola del vorticoso travolgimento in cui si incunea la Vita. Il linguaggio non fa altro che esplicitare –banalizzando- quello che dentro di noi imperversa. Pagine e pagine e pagine per acciuffare un atomo dell’intera bomba che in un attimo davanti a noi esplode. Uno Sguardo, un Profumo, un Movimento, il Colore di una Pelle. Ci vorrebbero anni per mettere tutto su un foglio. Tutto quello che in Quell’Attimo ci ha travolto. Intanto ce lo saremmo già dimenticato –o reinventato-.
Anche questo è un viscido tentativo di sistemare ciò che in noi è totalmente ribaltato. Siamo questo: Caos Totale. Beati coloro a cui la disperazione ha risparmiato questa sorte. Noi, veri Disperati, tutte queste cose ci infastidiscono. Le sentiamo, ma non vorremmo sentirle. Le vediamo, ma non vorremmo accorgerci di loro. Vorremmo una vita in cui la sera si va a dormire tranquilli e la mattina ci si alza senza troppo domandare. Vorremmo Meno. O vorremmo Di Più. Non saprei quantificare.
Noi Disperati abbiamo bisogno del Tempo Ordinato. Vorremmo capire il principio di causalità. La reazione uguale e contraria che segue ogni azione. La logica conseguenza a tutto quel che ci accade. Peccato che il Tempo non sia Ordinato, né tantomeno cronologico. Il Tempo è un nostro Schema. Una geniale soluzione catalogatrice che abbiamo trovato per strutturare l’andare dell’esistere. Ci siamo salvati con l’idea del Tempo. Ci meritiamo un applauso.
E’ brutto rendersi conto di questo. Intuire che quello che ieri era un mondicino bellino e ritmato oggi si scopre un Ordine Fattizio. Non lo abbiamo ricevuto, non è sempre stato così. Lo abbiamo dato Noi quest’ordine. O così lo percepiamo. Per un altro tipo di essere –probabilmente- la cosa funziona in maniera ben diversa.
Indi per cui non c’è troppo da domandarsi se si vuole andare a letto e dormire. C’è da camminare in silenzio. Punto e basta. Quello che vediamo è una nostra Creazione, non facciamoci caso però.
Ma noi Disperati non siamo così. Probabilmente se le cose andassero come realmente vorremmo non staremmo qui a chiederci Perché. Viaggeremmo nella corrente come il resto degli uomini fa a giusta ragione. Però quest’Oggi a noi non piace. E ci fermiamo. Ci stacchiamo e guardiamo la trottola frullare da fuori, dall’esterno, rendendoci conto di essere su una giostra quasi impazzita. Impazzita come il Tempo, il che ti fa pensare all’inevitabile necessità di tutta questa pienezza insulsa. (Se il Tempo è pazzo, anche la Vita dovrà esserlo).
Noi, Disperati insoddisfatti, scappiamo nelle parole per ricevere due coccole. Per sentirsi importanti. Per avere un posto tutto nostro. Per redimere un’abulica esistenza ad un volgersi diverso. Siamo Rivoluzionari: usiamo la nostra arma per riprenderci un po’ di Dignità. Quella che vorremmo ci spettasse, forse.
Intanto –celatamente- piangiamo, beliamo, battiamo i piedi. Tutti. Chi parla di gioia, di bambini, di tristezza, di suicidi, di solitudini. Tutti piangiamo. Tutti siamo Disperati: ognuno ha le sue forme più o meno limpide di manifestarsi. Guardiamoci dritti nelle palle degli occhi e raccontiamoci quello che siamo. Cosa sentiamo. Cosa vogliamo. E l’inevitabile asimmetria fra desiderio e ottenimento.
Chi scrive è un Meschino. Un Disperato Meschino. Non andiamo a fargli troppi onori. Non incensiamolo troppo. In realtà conta meno di zero: il mondo sotto sotto lo sa.

domenica 1 novembre 2009

Ritornare a Fare -mentre la Vita si compie-

A volte ci arrivano Voci. Voci volanti per l’aria frizzante, trasportate da un forte vento da est che tutto spazza, che tutto solleva. Ci entrano nell’orecchio senza chiedere il permesso e cominciano a ronzare. Ronzare e fischiare. Ronzare e sibilare. Senza posa.
Non si capisce bene cosa sia, o cosa voglia dire. Avvertiamo solo un Movimento, una Spinta violenta che ci schioda dal nostro posticino. Una forza che ci turba, ma che ci scuote. Ci mette in cammino. Non si sa bene cosa voglia dire tutto questo casino in testa. E non c’è neanche da provare ad ascoltarla, sarebbe tempo perso. E’ entrata -punto e basta.
E qui non si tratta di fermarsi e provare a capire. Si butta via pezzi di vita. C’è da Fare, da Camminare. Non importa Cosa o Perché o Come: l’essenziale è Fare. Semplicemente.
E’ l’Azione che porta al movimento. La stasi ti lega ai paletti e ti lascia lì, come un cane abbandonato. Una trasformazione, un’illuminazione –se si vuole- arriva solo muovendosi, faticando, sudando. Ricordo sempre mister Brunino che saggiamente mi gridava “Se non vai Incontro alla palla non la vedi mai!”. Anche nel gioco del calcio c’è da Andare Incontro, c’è da Muoversi, da Farsi Vedere.
Con le botte è un po’ la stessa cosa. Ci si rialza ri-imparando a Fare. Ma non è strettamente necessario costruire o fabbricare qualcosa. Non parlo di un’idea di Fare come produzione utile o –comunque- sensata. Anche giocare con un bimbo, prepararsi un dolce, correre con un cane è Fare.
Fare è tutto ciò che ci smura dalla nostra malinconica poltrona e ci sbatte fuori di casa, nel mondo. Fare ci richiede impegno, ci mette in gioco, ci chiede di accendere la testa.
Non necessariamente si tratta di cose prettamente materiali. Non necessariamente. Un po’ di pragmatica attività aiuta infatti a riscoprire la Concretezza della Vita. Impastarsi le mani nella farina. Pulire i vetri di casa. Scrivere una lettera ad un amico. Cercare una Poesia. Son cose piccole, semplici, forse futili. Ma son queste che ci fanno smuovere, che restituiscono dinamismo ad un’abulica quotidianità infeltrita di amarezza. Non sono i grandi gesti, i grandi eventi a rimetterci sul sentiero. Ci danno forse una spinta: poi sta a noi riprendere lo zaino in spalla e prendere la strada, Tutti i Giorni.
E’ nella Quotidianità che si ritrova il Gusto per la Vita. Un po’ di Attenzione e un pizzico di Meraviglia. Attenzione verso chi ti sta accanto, verso cosa ti succede di fianco. Meraviglia per la straordinarietà dei giorni. E’ assurda la nostra grandiosa capacità di sottovalutare l’esistenza, perdendosi la magia dello scorrere del tempo. Ogni giorno si compiono accanto a noi silenziosi miracoli che neanche percepiamo. Non vediamo il Gusto in un sorriso, in un pianto, nel fare la spesa, in un fiore che sboccia, in una foglia che cade. Non spalanchiamo gli occhi quando la pioggia scroscia, quando nostra mamma ci saluta, quando un fuoco muore a notte fonda.
Noi e la nostra società le consideriamo Sciocchezze, inutile orpello, superfluo dettaglio. Ma cosa c’è di più Grande, di più Bello della Vita che in ogni attimo si compie?
A contatto con Questa Vita che va compiendosi ci mettiamo in moto. Infatti, è camminando che Si Cammina. Vivendo –appunto- che Si Vive. Amando che Si Ama. Sembra una cosa scontata, son d’accordo. In realtà spesso si Pensa di fare certe cose. In realtà le stiamo solo Pensando e Non –realmente- Facendo.
Sappiamo tutti che il binomio “E’ Pensando di Amare che amo” non regge. Non c’è versi. Regge forse nella nostra testa, ma non sgorga dalle nostre mani, dai nostri occhi, dalle nostre labbra. Si impiglia fra i nervi, non sgorga in gesti. E questo perché l’Amore chiede, pretende e reclama la potenza dei Gesti, l’essenzialità delle Azioni. Le idee restano solo ottimi propositi.
Il Pensiero serve a Riconoscere la Vita, a Sistemarla, a Riordinarla per –poi- Progettarla. Tutto buono, tutto utile. Ma è Vivendo che si costruisce la Vita. Essa non dimora nel Pensiero. Il Pensiero non ha tempo. Sistema e aiuta a fare ordine in ciò che si è vissuto. Ma è la Vita stessa che ci fornisce tutta questa ricchezza d’argilla da modellare.
E tutto si nasconde dietro al Fare. Dietro ad un Fare semplice, ordinario, quasi primitivo. Non crediamo che sia Fare CHISSA’ COSA. Anche il semplice e immediato Stare è un piccolo –diverso- modo di Fare.
Stare in silenzio. Stare a guardare. Stare ad ascoltare. Stare a contemplare un volto, una rosa o la gente che passa. Stare e Stare in Ricezione, aperti, attenti alla Vita che si compie.
Non è un cambiamento drastico. Non è niente di più che un Ritornare a Sé. Un ritorno alla Vita Materiale, alla concretezza, alla quotidianità. Ciò a cui è –da sempre- asservita la Vita Ideale. “Ribaltare i Rapporti” diceva un lottatore. Il rischio –mio- si concretizza tutti i giorni. C’è da starci attenti, e anche parecchio.
L’importante è avere sempre il Pensiero come Mezzo. E la Vita come unico, vero, sostanziale Fine.

domenica 18 ottobre 2009

La drammatica Non-Esistenza di Perchè

Certe cose nella vita Accadono e basta. Non ci si spiega il Perchè e -soprattutto- non si deve cercarlo. Bisogna Accettare la Realtà e conviverci, senza farci troppo a botte. Ci sono cose che non si spiegano: la morte è una di queste.
Ma non importa andare troppo sul “difficile” per cogliere l’inspiegabilità dell’esistere. Alle volte è l’incontro con una persona o con un’entità metafisica a darci cervellotici dubbi sul Perchè. Altre volte anche una meravigliosa carezza, un’occhiata o un pensiero tenero ci lasciano a bocca aperta, con un Perché penzolante da immobili labbra.
Perché, Perchè, Perché, Perché, Perché. Ogni volta la solita zuppa: proviamo a ricostruire una qualche logica ad un ribaltamento dell’anima. Proviamo a rimettere in ordine la stanza. E sistematicamente fatichiamo a trovarne un fondamento. La soluzione sarebbe forse ricostruirsi una qualche scusa o giustificazione al caos maledetto che ci ha messo quell’evento: se ci accontentiamo di una Falsa e Illusoria Soluzione la strada è quella giusta.
Ma se cerchiamo la vera sostanziale motivazione a Quella scena, a Quell’incontro, a Quella strana Casualità. Se cerchiamo qualcosa di Realmente Reale capace di far quadrare il cerchio. Beh, alle volte dobbiamo arrenderci e lasciare i nodi intrecciati, i fili appallottolati e la vita arruffata.
Convivere con una Vita spettinata è forse meglio che venirci alle mani, ed uscirne coi lividi. Certo, c’è da spengere il cervello: la cosa non è così immediata, ma si può imparare. Imparare a manovrare in quegli stretti spazi in cui ci è dato decidere, sapere, capire. Al di là, Oltre il limite del conoscibile non siamo autorizzati ad attingere. Forse è lì che Qualcuno ha nascosto la Sostanza delle cose, della vita, dell’amore, del dolore. Le ha rimpiattate lì per non farle strappare, sgretolare da qualche furioso individuo in collera con l’esistenza. Un buon intuito di preservazione, tutto sommato. Anche se continuiamo a pagare il prezzo emotivo di nostre intime domande prive di un’affermazione attendibile e –soprattutto- corrispondente.

domenica 11 ottobre 2009

Punteggiatura - l'essenza nascosta del nostro Essere-

Spesso non abbiamo un Posto preciso. Tantomeno impersoniamo un Ruolo o una posizione sociale.
Spesso siamo pura, semplice, rarefatta Punteggiatura. Tutto qui: dei meri segni intrisi di un qualche strano significato.
Possiamo somigliare ad una Virgola. Rappresentare un passaggio, una pausa. O molto più banalmente una presa veloce di fiato prima di proseguire nel discorso. Così come arriviamo ce ne andiamo, nel silenzio di un infinitesimo attimo di vita. Arriviamo dopo una parola –spesso importante- e diamo lo slancio ad un’altra che va compiendosi. Spingiamo, facciamo fluire e ritmare il discorso. Ecco fatto, finito il nostro compito.
In alternativa possiamo incarnare un Punto fermo. Lì la sosta è più lunga: non siamo di passaggio, non siamo futile ornamento. Al nostro fianco la vita si ferma un po’, si riposa e si ristora. Chiudiamo una parentesi, le diamo un senso, doniamo un piccolo tocco di sale ad un discorso che probabilmente mai si compirebbe. Separiamo i discorsi e li aiutiamo a sanare le ferite del loro lavoro. Abbiamo stabilità, certezza, posizione fissa e duratura. Non voliamo via con il primo tocco di penna, anzi.
Possiamo essere un Punto Esclamativo. Raccogliere in noi l’ebbrezza di un momento, la gioiosa maestosità di una fuga nell’infinito. Avvolgere di passione istanti di esistenza che appaiono così eterni, così belli, così intoccabili. Laviamo via le macchie di una quotidianità abulica per pochi minuti, giusto il tempo di disilludersi della futilità di tutto ciò. Il cinismo riporterà poi il tutto su un piano “normale”, con implacabile inevitabilità. Ma intanto il nostro volo si è compiuto, toccando il cielo con un dito, sentendo nel naso l’odore di aria rarefatta. Abbiamo goduto –per un attimo- o abbiamo fatto godere.
Oppure –amaro gioco del destino- possiamo essere un Punto Interrogativo. E qui il gioco si complica, parecchio. Non si sa cosa rappresenti, se non un simbolo d’incertezza, di dubbio, di incoscienza. Non si sa il preciso valore che dà alla frase. Tutto si gioca intorno all’intonazione, alla lettura, all’interpretazione soggettiva del lettore. Non c’è alcun valore di sicurezza. E’ lì, sospeso fra la realtà e la possibilità, fra l’essere e il non essere, fra la vita e la morte. Un accordo sospeso, un fiume stagnante, una palude melmosa. C’è, si vede, si può toccare. Ma non si capisce bene dove vada, o a cosa serva, o cosa significhi –per noi-. Sentiamo che c’è e a ciò ci limitiamo. E qui la Paura ci avvolge, ci turba e ci inquieta: temiamo ciò che non conosciamo, ne siamo maledettamente spaventati e –dunque- limitati. Un Punto Interrogativo ha addosso quella sottile linea di confine fra il reale e il non reale, fra la verità e la falsità. C’è, ripeto, non si discute. Il problema sta nel Come e nel Cosa Voglia Significare quel girigogolo snodato sopra un puntino.
E probabilmente nella vita son questi che ci fanno casino, che ci scombussolano il normale susseguirsi dei giorni. Il discorso fila liscio fin quando non ci imbattiamo in uno di questi maledetti Punti. E lì ci piantiamo –arenati nel fango- in attesa di uscirne con un colpo di reni o con una fune di un amico. O forse basterebbe accettarli, imparare a conviverci e dar loro un Significato semplice, tutto Nostro.

venerdì 25 settembre 2009

Autunno -L'Avvento dell'Oro-

Il soffice sole d’autunno mi piace. Mi restituisce uno strano vigore, me lo instilla dentro. Forse sarà quella dolce Attesa di Oro nel bosco. Foglie che cadono da tutte le parti solo dopo aver regalato l’Oro. Ti mette di buon umore, ti mette Fiducia addosso. Fiducia per la vita. Non son alberi tristi quelli pronti a spogliarsi: son Sereni, sanno che è giusto così. Non portano il broncio, affatto. Anzi, cercano di sfruttare appieno il loro destino a denudarsi. Si fanno immensamente belli in quella posa decadente. Si immolano con infinità generosità nell’offrire al mondo la loro stupenda morte. Perché –alla fin fine- il loro è un nuovo morire. Morire e rinascere. Morire e rinnovare. Morire per tornare a splendere. Morire, solo dopo essersi fatti Oro. Geniale trovata della Natura.
E a me quest’alternativo punto di vista piace. Piace per gusto o forse per bisogno. Forse per sfizio. O forse sarà la voglia di riaccendere il camino, prendersi cura del fuoco, coccolarsi la legna, l’atmosfera di casa. Forse è il bisogno di Intimità che sopraggiunge col freddo, con la pioggia. I pomeriggi appoggiato alla finestra, con un libro in mano e l’abete che scoppietta nel braciere. Sentire le mura di casa che ti abbracciano e non ti mollano. Il calore che esce dalla stufa, le fiamme che si divincolano nel loro eterno scomparire. E in mano un lapis e un libro. Il capo chino, poggiato su un cuscino. La copertina di pile sulle gambe e Frida che mi russa a fianco. E’ un Ristoro, un piccolo intimo Ristoro. O forse un’elegante fuga mascherata –questo non saprei-.
So che questo nuovo autunno che viene mi dà gusto. E mi stuzzica. E ancora mi piace vederlo avanzare nel calore di questi pomeriggi, nelle fronde dell’estate che ancora su questo cielo s’affacciano. E’ così che si prepara: nessun distacco netto, tutto avviene in continuità. Io intanto me lo godo, aspettando in silenzio l’arrivo della tenera pioggerellina ritmata.

lunedì 21 settembre 2009

I Vigliacchi -o forse Noi-

I Vigliacchi stanno nella merda. Ci stanno e non provano ad uscirne. Semplicemente ci sguazzano, quasi per abitudine.
I Vigliacchi non escono dalla fanghiglia. Non che gli piaccia, sia chiaro: semplicemente son troppo fiacchi per levarsi di lì. Comunque sia alzarsi, scuotersi, levarsi la poltiglia dai vestiti richiede una certa energia. Ci vuole forza, e forza di volontà –mica storie-.
I Vigliacchi non abbandonano quella maledetta palude che li avvolge. Se ne stanno lì, sommersi fino al collo, senza colpo ferire. Non odono le voci di quelli che raccontano di paesaggi meravigliosi o di uomini sapienti. O meglio, le sentono ma non le ascoltano.
I Vigliacchi, quelli non partono mai. Non prendono un aereo per andare a visitare un posto nuovo, non gli interessa. Non cercano un qualche prato assolato su cui dormire, invece della solita scialba gelida steppa.
I Vigliacchi non rischiano. Preferiscono avere un cielo grigiastro sopra la testa, piuttosto che preparare lo zaino e cercare un po’ di solicino. Preferiscono bere il caffè tiepido, piuttosto che rifarselo –o scendere al bar sottocasa-. Preferiscono lagnarsi, piuttosto che rimboccarsi le maniche.
I Vigliacchi non si incazzano per i colpi ricevuti. Stanno zitti e basta. Incassano, in silenzio. Non sbraitano, non gioiscono. Semplicemente incassano. E non fanno niente per reagire al colpo preso. Forse piangono, ma in disparte –senza farsi vedere-.
I Vigliacchi non costruiscono la loro vita. La subiscono. Lasciano agli altri l’onore e l’onere di decidere cosa farne di questi anni. Si rendono schiavi, sudditi. Ingeriscono con mesta rassegnazione le scelte altrui, con strisciante devozione alla loro capacità di scelta. Tutto va bene, tutto è ottimo: anzi, è quasi il migliore dei mondi possibili.
E spesso siamo Noi i Vigliacchi e lentamente moriamo –o semplicemente sono Io-. O forse attendiamo solo una Scossa, una spinta. Non da fuori, non dal mondo, non dalla gente. Una Scossa da dentro. Dal profondo. Più o meno simile a quella che ti porta ad alzarti dal letto e iniziare la giornata (solo un po’ più forte: qui si parla di Vita Vera). L’aiuto a cominciare la strada verso il mondo. L’aiuto ad uscire dalla melma per poi ripulirti. E poi –pulito- Partire. Partire e Cercare. Partire, e Cercare, e Guardare. Partire, e Cercare, e Guardare, e poi –finalmente- Gustare. (Il tutto ad Occhi Chiusi).

giovedì 17 settembre 2009

Così fan tutte le Guerre -purtroppo-

Attentato a Kabul. Sei ragazzi sono morti, sei giovani vite spezzate nello scoppio di una bomba. Non si può che fermarsi e osservare un minuto di silenzio per loro. Un lungo minuto di silenzio. Rispettoso.
Dopo ciò, però, occorre osservare l’evento con occhio oggettivo. Occorre guardare al contesto in cui esso si è sviluppato, alle cause che hanno spinto gli attentatori a far saltare per aria il convoglio. Ed io Non Giustifico l’atto, ma non posso biasimarlo. Coloro che hanno architettato tutto ciò, coloro che hanno volutamente ucciso questi militari, costoro combattono per la loro Libertà. Ciò non va dimenticato. Questa è la guerra. Questa è la Tragica Dolorosità della guerra.
E questi uomini combattono. Combattono per togliere i soldati occidentali dalle loro strade, per far scomparire le mine dai campi in cui giocano i loro figli. Combattono per alzarsi la mattina e non doversi nascondere come conigli. Non importa se abbiamo portato loro un po’ di “Democrazia” o se abbiamo “civilizzato” i loro costumi. Loro -come noi, come tutti gli uomini- hanno sete di Libertà. E non potendo combattere ad armi pari lo fanno tramite attentati. Forse vigliaccamente, ma è la loro unica arma.
Così fanno loro. Così fanno in Iraq. Così fanno in Palestina. Così abbiamo fatto noi, durante la Resistenza. I nostri tanto osannati Partigiani agivano come loro, niente di più niente di meno: si celavano sui monti, progettavano assalti, facevano esplodere convogli tedeschi. E’ la stessa identica tattica: se non puoi sconfiggere il nemico faccia a faccia, allora nasconditi e coglilo di sorpresa. La guerra è –Purtroppo- questa.
Con ciò –ripeto- non voglio scusare l’uccisione dei nostri compatrioti. Non chiedo di Giustificare, chiedo solo di Provare a Capire. Provare a immedesimarsi nella situazione di questi Uomini -come noi, come i nostri soldati uccisi- che da anni hanno ormai truppe straniere quotidianamente per le loro strade. Ed è –forse- un umano atto di Coerenza tentare di comprendere gli afghani di oggi (o gli iracheni, o i palestinesi) alla luce dell’ammirazione per i Nostri Partigiani. I Nostri hanno combattuto per la Libertà dell’Italia: questi non lottano forse per la Libertà delle loro terre? Se la Nostra era una Lotta “giusta” non lo è forse anche la loro?
Penso sia da qui, e non dall’odio per i kamikaze, che si possa partire per un progetto di Pace. Capire, conoscere, toccare le situazioni dell’altro è il primo passo per la Fine dei Conflitti. Se davvero ci rendiamo conto che in quei volti, che tanto perseguitiamo, ci sono i nostri combattenti di sessant’anni; se prendiamo atto che gli ideali sono gli stessi, ma cambia solo luogo e tempo, forse li odieremmo un po’ meno. O forse non li odieremmo affatto. La Pace parte dalla Conoscenza e dalla Vicinanza all’altro.
Oggi, 17 settembre 2009, piangiamo i nostri ragazzi caduti. Portiamo il lutto per le loro vite tagliate. Con amarezza osserviamo la Tragicità della Guerra, ne tocchiamo le Violenze, le Sofferenze. Proviamo a comprendere la rabbia di questi popoli oppressi, le loro libertà privategli, la loro frustrazione. E intanto prepariamo la Pace, nel nostro piccolo. Proviamoci.

lunedì 14 settembre 2009

Mi alzo dal banco -con le ultime fiches rimaste-

Mi alzo dal banco. Raccolgo nella mano destra le ultime poche Fiches rimaste. Mi dirigo ad incassarle (qualcosa pur varranno). Con uno sguardo arreso e fugace abbandono il panno verde: il mazziere sta di nuovo distribuendo le carte, impassibile. Il gioco prosegue: chi ha cash continua a puntare –sempre se le carte dimostrano di valerne la pena-. Io invece no. Io smetto. Io me ne vado. Il Poker ha avuto la meglio.
Ho giocato, scommesso, puntato, rischiato, fallito, vinto un po’. Ma il Banco, Lui ha vinto -quasi tutto-. Qualcosa in mano eppure mi resta. Pochi euro forse, pochi sogni forse. Forse qualche ricordo, forse i segni sulle dita che facevano scorrere le carte con geometrica lentezza. Forse l’esperienza di una lunga serata sul filo del rasoio.
Alla fine non ho perso tutto: lo sguardo agghiacciante dei giocatori, quello lì in mente mi resta. Le loro giocate, quelle le ho almeno capite.
E ritorno a casa mia, fischiettando un monotono motivo, con l’occhio puntato all’imbrunire che ho innanzi.

lunedì 7 settembre 2009

Lezione da Kira

Mi corre incontro un cane, tranquillo, pelo un po’ sciupacchiato. Si chiama Kira, è una femmina. Vuole un po’ di coccole. Si struscia, mi salta addosso, prova a leccarmi in viso. Mi gira attorno avvinghiandomi con il corpo mentre porte il collo, come una dolce richiesta.
Io l’accarezzo sul ventre e sulla schiena. Le gratto il collo e la testa. Le piace, ha gli occhi contenti. E poi – con infinita fiducia- si sdraia supina, con le zampe dritte e la pancia scoperta. Le è bastato poco, un minuto, un po’ di calore e di contatto per affidarsi a me. Era vulnerabile, abbandonata. Era fiduciosa, aperta. Fra me e lei c’è stato un contatto di un attimo. Un contatto fra Anime.
A bocca aperta son rimasto nel sentire quanto poco basti per creare affetto, calore, Amore. Davvero bisogna aprirsi per dare e ricevere un po’ d’Amore. Davvero bisogna fidarsi e farsi deboli per creare contatto.
Davvero c’è bisogno di farsi più naturali per aprirsi alla vita. Oggi, non su un libro, ma da un cane ho appreso un dettaglio. Un piccolo dettaglio da sistemare nel mio quotidiano.

domenica 30 agosto 2009

Vai a capire qual'è il Tuo Treno

Alle volte sento che un Destino c’è. Cioè, non lo So. Lo Sento e basta. O forse lo Spero e basta. Non so.
Diciamo che lo Spero. O lo Voglio. O lo Desidero. Insomma, mettetela come volete voi.
Perché un Destino ti dà Prospettiva, lungimiranza, occhio lungo e attento. Ti dà la forza per camminare, in salita e in discesa. Ti fa guardare al sentiero davanti e non ai tuoi scarponi logori.
Alla fine non ti fai troppi problemi se le cose non vanno o se il tuo Posto tarda ad arrivare. Sai che –prima o poi- ci sarà la Tua Occasione. E’ una cosa che ti semplifica molto la vita. E’ vero. E’ un po’ da “semplicioni”, son d’accordo.
Ogni tanto però si ha Bisogno di auto convincersi che si sta girando per incontrare –un giorno- il proprio treno. Non sappiamo quanto tempo dovremo trascorrere in stazione, libro alla mano. Sappiamo però che –prima o poi- il Treno passa. E dovremo essere bravi soltanto a svegliarsi, a salirvi e lì, trovare il nostro posto prenotato. Roba facile a dirsi.
Il problema arriva se sei in una Stazione con centinaia di binari e nessuna indicazione. O se scendi da una carrozza e devi prendere la coincidenza. Dove vai, quale prendi? Su quale sali e ti accomodi? Su quello più Bello o su quello Logoro che a malapena viaggia?
(E’ un bel casino, potete capire).
Puoi credere quanto vuoi nel Destino, nel curioso caso che ti porterà nella stazione -nella Tua stazione- Quel treno. Ma Lui arriva fino a un certo punto. Da lì in poi tocca al tuo Fiuto.
Ci vuole Intuito ed Intelligenza –e un po’ di fortuna- per azzeccare il Tuo treno. Non puoi sempre chiedere al macchinista se la direzione è giusta, se la destinazione va bene per te, se fa troppe fermate o troppo poche. Sa una mazza lui, alla fin fine. Sei te che devi sentire dove andare.
(E’ un bel casino, potete capire).
L’importante –alla resa dei conti- è aver Fiducia in quello stramaledetto treno. Prima o poi passerà. Cavolo, si deciderà ad arrivare. E va bene incazzarsi, urlargli contro –nella speranza che senta-, tirargli pure una manciata di ciottoli, nella foga di un grido. Il tutto senza mai perdere Attenzione e Prontezza. E continuo ascolto del cuore. Tutto il resto è superfluo.
Senza Attenzione infatti, non ci si accorge neanche di un piccolo Fiore che sboccia. E la nostra vita -forse- in questa piccola disposizione d’animo si nasconde.
Tutto sta nell’essere Attenti al Tuo Treno Scassato in arrivo al binario nove e tre quarti. (Sperando di non finire ad Hogwarts…).

(E comunque: E' un bel casino, potete capire).

venerdì 28 agosto 2009

Sembra d'essere nel Buio -Sembra-

Allora, il Buio non esiste. E questo è ormai assodato. Non si discute.
Ora però, esistono momenti in cui il Buio si avvicina. Non è che Sei nel Buio: semplicemente ti Sembra di esserci. Capite bene che la Sostanza cambia, ma la Percezione è la stessa –più o meno-.
Ecco, è da un po’ che mi sembra di essere nel Buio. Non so bene per quale stramaledetto motivo: non son granchè capace a dare spiegazioni. Ora come ora mi riesce solo di Percepire, Capire verrà prima o poi –si spera-.
E’ un Buio strano però. Un Buio che ti leva i riferimenti, che ti scaraventa in una dimensione aspaziale in cui non esistono appigli. Puoi solo stare in quella zona e volteggiare come in assenza di gravità. Basta, solo quello.
E –credetemi- non è una gran bella sensazione.
Probabilmente è il puro e semplice timore di fronte al tuffo nel nuovo. Forse è l’innocente tendenza a preferire il “Vecchio, Conosciuto e Rodato” al “Nuovo, Ignoto e Incerto”. Forse.
O forse è la mancanza di Prospettiva. E –in tal caso- la cosa mi preoccuperebbe alquanto. A me piace lo sguardo all’orizzonte, con i piedi sulla battigia certo, ma con l’occhio verso l’infinito.E se questa Prospettiva oggi manca..beh, c’è da masticarci un po’ su, rimboccandosi le maniche.
Ci sta che sia questa la mia Paura del Buio. O forse è questo oggi il Mio Buio.

sabato 22 agosto 2009

Qui, è tutto un Frullare

Forse un Destino c’è. O forse c’è semplicemente un insieme di attitudini, di somiglianze. Non so se la nostra vita sia regolata da un fato già scritto, o se ce la scriviamo noi con le sole e semplici tendenze che ci caratterizzano. Non saprei dire.
So però che alle volte questo flusso va accettato, senza troppo sbraitare. Va accettata la corrente che ci conduce verso la nostra valle. Va accettata la tortuosità di questo “fiume che percorre una strada trevirgolaquattordici volte superiore al necessario, per giungere al mare”.
Forse ha ragione B. quando ci fa notare che frulliamo inutilmente per arrivare poi, alla fine, a quella che è –da sempre- la nostra Veranda. Ed è in questo girovagare che –spero- impariamo a Stare.
Non è così semplice ed immediato afferrare il momento in cui una radura deve farsi Casa. Il momento in cui non c’è più da prendere autobus, treni a vapore, autostop, ma c’è solo da Fermarsi e Stare. Fermarsi e posare lo zaino. Fermarsi e cominciare a costruire una qualche abborracciata capanna.
Ho spesso la paura di arrivare in quella radura, arrivare in Quella radura e non captare che è la Mia. Punto e basta. E’ la Mia, da secoli ormai. E lì fermarmi e vivere e stare e assaporare. (E’ una cosa da Sentirsi Dentro, nulla di troppo complicato).
Ho la paura di arrivare, vedere, non apprezzare e passare. Proseguire. Andar oltre, cercando –spasmodicamente- un prato più verde, una vista più bella, una vetta più alta. Un qualcosa in più, certo, ma che non è il Mio. Non so se mi spiego. E’ come entrare in uno splendido negozio, vedendovi un paio di scarpe magnifiche..ma che non sono le tue. Non le puoi comprare. Non c’è versi. Le ammiri, le adori, ci sbavi quasi sopra, ma non sono le Tue. Resteranno sempre un magnifico oggetto da vetrina mai calzabile.
Probabilmente quel prato verde che suppongo sia la mia radura non l’ho ancora trovato. O l’ho trovato e non l’ho visto. Oppure l’ho sempre pensato come “prato verde” e mai come “pezzo d’asfalto”, impedendo al mio occhio di caderci sopra e lì, incastrarsi.O forse è laggiù, all’orizzonte, che aspetta di essere raggiunto, dopo tanto affannare. E chissà che anche io non debba girare Pigreco volte prima di arrivarci.
Tutto serve –almeno si spera-…

venerdì 21 agosto 2009

Piccozza e Ramponi a quota 500m

A quota 6000m, su un infinita distesa di ghiaccio, ogni vita è attaccata a sé stessa. Ci sono i compagni di cordata, ma la maggior sicurezza è la tua piccozza. Niente è più importante.
Hai il cammino, la vetta, la vita legati tutti al tuo moschettone d’acciaio. Ci sono i sostegni, le grida d’incoraggiamento ma le gambe devono procedere da sole.
Sei solo in mezzo al freddo gelido. Tu e la montagna. Tu e il colosso di ghiaccio. Nessun altro.
E così ti rendi conto che il tuo destino dipende dai tuoi passi, dalla fermezza con cui pianti il rampone a terra.
Possono spingerti il morale, ma solo la tua forza ti porta a toccare la cima. Solo la caparbietà ti permette di tornare al campo base sano e salvo.

E spesso –troppo spesso-, anche io mi sento in mezzo al K2, anche se a quota 500m. Anche se l’umidità è fitta come la nebbia, il caldo m’asfissia e la voglia di fare si condensa in una pozza di sudore.

giovedì 20 agosto 2009

Abitutati a Stare Soli

Alle volte siamo troppo abituati a Stare Soli. E’ un bel casino, credetemi. Con il tempo si impara a ritmare ogni singolo istante della nostra giornata sui nostri bisogni, sulle nostre necessità. Si guarda agli altri, sì, ma con occhio sempre un po’ distaccato. Alla fine ci si fa caso il giusto.
E quando si arriva a non voler essere più Soli si fatica, parecchio. Dopo aver capito che il metronomo è su un altro tempo…c’è da sincronizzare!
Non è così facile trasformare due tempi in uno solo, due ritmi in uno solo, due andature in una sola. E’ un bel casino, credetemi. Si rischia di far saltare le orecchie che ascoltano quel lento andare di passi sull’asfalto. Si rischia di farle saltare letteralmente per aria. Poi i danni si contano a occhio, sulla pelle.
Forse abbiamo imparato troppo bene a Stare Soli, per troppo tempo. E ci vuole tempo per armonizzarsi sul ritmo di chi ti sta accanto. Soprattutto, ci vuole Pazienza.

Inaugurazione

Benvenuti a tutti, belli e brutti.
Benvenuti su questo nuovo spazio, su questa piccola pagina di Brindisi vari.
Grazie a chi entrerà qui per Ridere, chi per Sorridere, chi per Infamare, chi per Ascoltare, chi per Gridare.
Grazie a chi vorrà lasciare un pezzo di sè, a chi se ne andrà senza lasciare il proprio commento, a chi non leggerà neanche.
Buon Viaggio a tutti voi.

PS Se commentate -mi raccomando- non guidate, sennò vi ritirano la patente...