lunedì 26 aprile 2010

Un Solo Senso alla volta -uno soltanto-

Un solo Senso alla volta. Uno soltanto. Ne abbiamo cinque, d’accordo. Qualcuno dice che la molteplicità di impressioni di una medesima cosa aiuta nella conoscenza di questa. Non credo.

Non siamo capaci di gestirli: ci sfuggono di mano, vanno per conto proprio, brancolando a caso in un oceano di sensazioni spesso sfuggenti, spesso mutevoli. E noi perdiamo il fulcro della nostra ricerca percettiva tentando di organizzare materiale che arriva da naso, occhi, orecchie. Ascoltiamo la musica incantandoci nell’armonico movimento di archi e corde. Contempliamo l’andarsene di un tramonto mentre auto sfrecciano alle nostre spalle, mentre un telefono squilla nella nostra tasca. Vaghiamo spaesati dalla cinquina di scintille che stimolano il nostro cervello. A bocca aperta, senza capirci niente.

E questo non per maledizione divina, tantomeno per incapacità strutturali. E’ solo una mancanza di applicazione. Tenace e costante applicazione. Arrogantemente ci consideriamo padroni dei nostri sensi, utilizzatori di livello sublime dei nostri strumenti in dotazione, maestri della percezione sensoriale. C’è invece da imparare con pazienza a riconoscere ogni singolo dettaglio che arriva alla nostra mente, senza limitarsi ad una constatazione approssimativa.

E –per apprendere questa precisione- occorre concentrarsi. Semplicemente. Non è un lavoro troppo complesso, né tantomeno difficile. Basta spegnere tutti gli altri sensi . Tutti gli altri, che in quel preciso momento sono superflui. Non mi spingo a dire che sono inutili: sono soltanto superflui. Un Plus che può certamente connotare meglio quel che si percepisce, ma che –spesso- distoglie l’attenzione dall’Essenza di ciò che cerchiamo. E così imparare ad ascoltare le note di un brano ad occhi chiusi, immobili, con le mani sotto il mento. Imparare a contemplare le colline inondate di primavera tappandosi le orecchie, distesi in un angolo di un prato. Assaporare il profumo di un olio che è appena stato aperto o la dolcezza di una carezza che ti sfiora il volto.

Focalizzare la ricerca percettiva verso uno e un solo apparato sensoriale. Il tutto al fine di cogliere sempre più dettagli, affinando progressivamente la precisione e –di pari passo- la relativa emozione. Potenziare con l’allenamento la propria personale capacità di conoscere il mondo, di amarlo, di apprezzarlo. Anelare a emozioni da toglierti il fiato, da lasciarti sgorgare una lacrima solitaria da palpebre socchiuse.

E così perdersi in mezzo alla platea di un Teatro. Sentire archi che volano da una parte all’altra, ondeggiando fra tocchi rapidi e fugaci e abbracci lunghi due intere battute. Cogliere le grida gravi dei contrabbassi che si nascondono dietro un angolo, timidamente. E l’intera atmosfera carezzata dal duettare di tasti di pianoforte che da destra e sinistra si raccontano storie di paesi lontani, di sogni proibiti, di amori inseguiti.

Il tutto ad Occhi Chiusi. Solo e soltanto ad Occhi Chiusi.