venerdì 25 settembre 2009

Autunno -L'Avvento dell'Oro-

Il soffice sole d’autunno mi piace. Mi restituisce uno strano vigore, me lo instilla dentro. Forse sarà quella dolce Attesa di Oro nel bosco. Foglie che cadono da tutte le parti solo dopo aver regalato l’Oro. Ti mette di buon umore, ti mette Fiducia addosso. Fiducia per la vita. Non son alberi tristi quelli pronti a spogliarsi: son Sereni, sanno che è giusto così. Non portano il broncio, affatto. Anzi, cercano di sfruttare appieno il loro destino a denudarsi. Si fanno immensamente belli in quella posa decadente. Si immolano con infinità generosità nell’offrire al mondo la loro stupenda morte. Perché –alla fin fine- il loro è un nuovo morire. Morire e rinascere. Morire e rinnovare. Morire per tornare a splendere. Morire, solo dopo essersi fatti Oro. Geniale trovata della Natura.
E a me quest’alternativo punto di vista piace. Piace per gusto o forse per bisogno. Forse per sfizio. O forse sarà la voglia di riaccendere il camino, prendersi cura del fuoco, coccolarsi la legna, l’atmosfera di casa. Forse è il bisogno di Intimità che sopraggiunge col freddo, con la pioggia. I pomeriggi appoggiato alla finestra, con un libro in mano e l’abete che scoppietta nel braciere. Sentire le mura di casa che ti abbracciano e non ti mollano. Il calore che esce dalla stufa, le fiamme che si divincolano nel loro eterno scomparire. E in mano un lapis e un libro. Il capo chino, poggiato su un cuscino. La copertina di pile sulle gambe e Frida che mi russa a fianco. E’ un Ristoro, un piccolo intimo Ristoro. O forse un’elegante fuga mascherata –questo non saprei-.
So che questo nuovo autunno che viene mi dà gusto. E mi stuzzica. E ancora mi piace vederlo avanzare nel calore di questi pomeriggi, nelle fronde dell’estate che ancora su questo cielo s’affacciano. E’ così che si prepara: nessun distacco netto, tutto avviene in continuità. Io intanto me lo godo, aspettando in silenzio l’arrivo della tenera pioggerellina ritmata.

lunedì 21 settembre 2009

I Vigliacchi -o forse Noi-

I Vigliacchi stanno nella merda. Ci stanno e non provano ad uscirne. Semplicemente ci sguazzano, quasi per abitudine.
I Vigliacchi non escono dalla fanghiglia. Non che gli piaccia, sia chiaro: semplicemente son troppo fiacchi per levarsi di lì. Comunque sia alzarsi, scuotersi, levarsi la poltiglia dai vestiti richiede una certa energia. Ci vuole forza, e forza di volontà –mica storie-.
I Vigliacchi non abbandonano quella maledetta palude che li avvolge. Se ne stanno lì, sommersi fino al collo, senza colpo ferire. Non odono le voci di quelli che raccontano di paesaggi meravigliosi o di uomini sapienti. O meglio, le sentono ma non le ascoltano.
I Vigliacchi, quelli non partono mai. Non prendono un aereo per andare a visitare un posto nuovo, non gli interessa. Non cercano un qualche prato assolato su cui dormire, invece della solita scialba gelida steppa.
I Vigliacchi non rischiano. Preferiscono avere un cielo grigiastro sopra la testa, piuttosto che preparare lo zaino e cercare un po’ di solicino. Preferiscono bere il caffè tiepido, piuttosto che rifarselo –o scendere al bar sottocasa-. Preferiscono lagnarsi, piuttosto che rimboccarsi le maniche.
I Vigliacchi non si incazzano per i colpi ricevuti. Stanno zitti e basta. Incassano, in silenzio. Non sbraitano, non gioiscono. Semplicemente incassano. E non fanno niente per reagire al colpo preso. Forse piangono, ma in disparte –senza farsi vedere-.
I Vigliacchi non costruiscono la loro vita. La subiscono. Lasciano agli altri l’onore e l’onere di decidere cosa farne di questi anni. Si rendono schiavi, sudditi. Ingeriscono con mesta rassegnazione le scelte altrui, con strisciante devozione alla loro capacità di scelta. Tutto va bene, tutto è ottimo: anzi, è quasi il migliore dei mondi possibili.
E spesso siamo Noi i Vigliacchi e lentamente moriamo –o semplicemente sono Io-. O forse attendiamo solo una Scossa, una spinta. Non da fuori, non dal mondo, non dalla gente. Una Scossa da dentro. Dal profondo. Più o meno simile a quella che ti porta ad alzarti dal letto e iniziare la giornata (solo un po’ più forte: qui si parla di Vita Vera). L’aiuto a cominciare la strada verso il mondo. L’aiuto ad uscire dalla melma per poi ripulirti. E poi –pulito- Partire. Partire e Cercare. Partire, e Cercare, e Guardare. Partire, e Cercare, e Guardare, e poi –finalmente- Gustare. (Il tutto ad Occhi Chiusi).

giovedì 17 settembre 2009

Così fan tutte le Guerre -purtroppo-

Attentato a Kabul. Sei ragazzi sono morti, sei giovani vite spezzate nello scoppio di una bomba. Non si può che fermarsi e osservare un minuto di silenzio per loro. Un lungo minuto di silenzio. Rispettoso.
Dopo ciò, però, occorre osservare l’evento con occhio oggettivo. Occorre guardare al contesto in cui esso si è sviluppato, alle cause che hanno spinto gli attentatori a far saltare per aria il convoglio. Ed io Non Giustifico l’atto, ma non posso biasimarlo. Coloro che hanno architettato tutto ciò, coloro che hanno volutamente ucciso questi militari, costoro combattono per la loro Libertà. Ciò non va dimenticato. Questa è la guerra. Questa è la Tragica Dolorosità della guerra.
E questi uomini combattono. Combattono per togliere i soldati occidentali dalle loro strade, per far scomparire le mine dai campi in cui giocano i loro figli. Combattono per alzarsi la mattina e non doversi nascondere come conigli. Non importa se abbiamo portato loro un po’ di “Democrazia” o se abbiamo “civilizzato” i loro costumi. Loro -come noi, come tutti gli uomini- hanno sete di Libertà. E non potendo combattere ad armi pari lo fanno tramite attentati. Forse vigliaccamente, ma è la loro unica arma.
Così fanno loro. Così fanno in Iraq. Così fanno in Palestina. Così abbiamo fatto noi, durante la Resistenza. I nostri tanto osannati Partigiani agivano come loro, niente di più niente di meno: si celavano sui monti, progettavano assalti, facevano esplodere convogli tedeschi. E’ la stessa identica tattica: se non puoi sconfiggere il nemico faccia a faccia, allora nasconditi e coglilo di sorpresa. La guerra è –Purtroppo- questa.
Con ciò –ripeto- non voglio scusare l’uccisione dei nostri compatrioti. Non chiedo di Giustificare, chiedo solo di Provare a Capire. Provare a immedesimarsi nella situazione di questi Uomini -come noi, come i nostri soldati uccisi- che da anni hanno ormai truppe straniere quotidianamente per le loro strade. Ed è –forse- un umano atto di Coerenza tentare di comprendere gli afghani di oggi (o gli iracheni, o i palestinesi) alla luce dell’ammirazione per i Nostri Partigiani. I Nostri hanno combattuto per la Libertà dell’Italia: questi non lottano forse per la Libertà delle loro terre? Se la Nostra era una Lotta “giusta” non lo è forse anche la loro?
Penso sia da qui, e non dall’odio per i kamikaze, che si possa partire per un progetto di Pace. Capire, conoscere, toccare le situazioni dell’altro è il primo passo per la Fine dei Conflitti. Se davvero ci rendiamo conto che in quei volti, che tanto perseguitiamo, ci sono i nostri combattenti di sessant’anni; se prendiamo atto che gli ideali sono gli stessi, ma cambia solo luogo e tempo, forse li odieremmo un po’ meno. O forse non li odieremmo affatto. La Pace parte dalla Conoscenza e dalla Vicinanza all’altro.
Oggi, 17 settembre 2009, piangiamo i nostri ragazzi caduti. Portiamo il lutto per le loro vite tagliate. Con amarezza osserviamo la Tragicità della Guerra, ne tocchiamo le Violenze, le Sofferenze. Proviamo a comprendere la rabbia di questi popoli oppressi, le loro libertà privategli, la loro frustrazione. E intanto prepariamo la Pace, nel nostro piccolo. Proviamoci.

lunedì 14 settembre 2009

Mi alzo dal banco -con le ultime fiches rimaste-

Mi alzo dal banco. Raccolgo nella mano destra le ultime poche Fiches rimaste. Mi dirigo ad incassarle (qualcosa pur varranno). Con uno sguardo arreso e fugace abbandono il panno verde: il mazziere sta di nuovo distribuendo le carte, impassibile. Il gioco prosegue: chi ha cash continua a puntare –sempre se le carte dimostrano di valerne la pena-. Io invece no. Io smetto. Io me ne vado. Il Poker ha avuto la meglio.
Ho giocato, scommesso, puntato, rischiato, fallito, vinto un po’. Ma il Banco, Lui ha vinto -quasi tutto-. Qualcosa in mano eppure mi resta. Pochi euro forse, pochi sogni forse. Forse qualche ricordo, forse i segni sulle dita che facevano scorrere le carte con geometrica lentezza. Forse l’esperienza di una lunga serata sul filo del rasoio.
Alla fine non ho perso tutto: lo sguardo agghiacciante dei giocatori, quello lì in mente mi resta. Le loro giocate, quelle le ho almeno capite.
E ritorno a casa mia, fischiettando un monotono motivo, con l’occhio puntato all’imbrunire che ho innanzi.

lunedì 7 settembre 2009

Lezione da Kira

Mi corre incontro un cane, tranquillo, pelo un po’ sciupacchiato. Si chiama Kira, è una femmina. Vuole un po’ di coccole. Si struscia, mi salta addosso, prova a leccarmi in viso. Mi gira attorno avvinghiandomi con il corpo mentre porte il collo, come una dolce richiesta.
Io l’accarezzo sul ventre e sulla schiena. Le gratto il collo e la testa. Le piace, ha gli occhi contenti. E poi – con infinita fiducia- si sdraia supina, con le zampe dritte e la pancia scoperta. Le è bastato poco, un minuto, un po’ di calore e di contatto per affidarsi a me. Era vulnerabile, abbandonata. Era fiduciosa, aperta. Fra me e lei c’è stato un contatto di un attimo. Un contatto fra Anime.
A bocca aperta son rimasto nel sentire quanto poco basti per creare affetto, calore, Amore. Davvero bisogna aprirsi per dare e ricevere un po’ d’Amore. Davvero bisogna fidarsi e farsi deboli per creare contatto.
Davvero c’è bisogno di farsi più naturali per aprirsi alla vita. Oggi, non su un libro, ma da un cane ho appreso un dettaglio. Un piccolo dettaglio da sistemare nel mio quotidiano.